
Perché non abbiamo ancora incontrato gli alieni? Forse sono più “normali” di quanto pensiamo
Da oltre settant’anni la domanda è sempre la stessa: se l’Universo è così vasto, pieno di stelle, pianeti e possibilità, dove sono tutti? È il cuore del celebre Paradosso di Fermi, la contraddizione tra l’altissima probabilità che esista vita intelligente là fuori e il fatto che, finora, non abbiamo trovato nulla. Una nuova ricerca, pubblicata su arXiv dal ricercatore Robin H. D. Corbet (NASA / UMBC), prova a dare una risposta meno inquietante e più… banale. Il suo studio, dal titolo “A Less Terrifying Universe? Mundanity as an Explanation for the Fermi Paradox”, propone una visione sorprendentemente rassicurante: forse non siamo soli, ma l’Universo è popolato da civiltà “normali” ma solo lievemente più avanzati di noi e per questo difficili da notare.
Un Universo meno spettacolare del previsto
Corbet introduce il concetto di “radical mundanity”, cioè banalità radicale. Secondo lui, le civiltà extraterrestri potrebbero aver sviluppato tecnologie più avanzate delle nostre — ma non abbastanza da costruire megastrutture visibili a intere galassie o da inviare segnali eterni nello spazio. Insomma, se noi oggi usiamo un iPhone 17, loro potrebbero avere un “iPhone 42”. Un po’ meglio, certo, ma niente di magico o di impossibile da immaginare. Ed è proprio questa “normalità” a renderli invisibili: se non costruiscono enormi sfere di Dyson o non trasmettono segnali radio costanti, non c’è motivo per cui dovremmo accorgercene. Forse ci stanno parlando — ma con strumenti che noi non sappiamo nemmeno riconoscere.
Civiltà discrete e poco rumorose
Molti media internazionali, dal Guardian a LADbible, hanno ripreso la teoria di Corbet con un certo entusiasmo. Alcuni titolavano ironicamente: “Forse gli alieni si sono semplicemente stancati di noi”.
Altri sottolineavano come, in fondo, l’assenza di contatto potrebbe essere un segno di normalità, non di mistero. Secondo lo scienziato, potrebbe esistere un numero limitato di civiltà tecnologiche nella nostra galassia. Non sono infinite, ma nemmeno una sola. Semplicemente, non si espandono all’infinito: esplorare o colonizzare l’universo sarebbe costoso, rischioso e — forse — inutile. In altre parole, gli alieni potrebbero non aver mai sentito il bisogno di invadere mondi lontani o lanciare segnali potentissimi per farsi notare. E se è così, il silenzio cosmico smette di essere un enigma. Non li vediamo, non perché non ci siano, ma perché non fanno abbastanza rumore.
Cosa significa per la ricerca di vita extraterrestre
La teoria di Corbet cambia anche il modo in cui potremmo cercare la vita intelligente.
Se le civiltà aliene sono “modeste”, dovremmo ridimensionare le nostre aspettative: smettere di cercare solo segnali forti e megastrutture spettacolari, e iniziare a prestare attenzione alle tracce più sottili — piccoli disturbi radio, emissioni deboli, artefatti tecnologici minori. In altre parole, invece di aspettarci un contatto eclatante, potremmo un giorno scoprire che la prova della vita extraterrestre è sempre stata davanti ai nostri occhi, solo troppo tenue per essere riconosciuta.
Un Universo meno “terrificante”
Per decenni, l’immaginario collettivo ha oscillato tra due estremi: da un lato l’idea di civiltà ultra-avanzate che dominano la galassia; dall’altro la visione pessimista di una Terra completamente sola. Corbet ci invita a considerare una terza via: un Universo pieno di civiltà silenziose, discrete, normali. E in fondo, questa è forse la risposta più confortante di tutte. Perché non siamo necessariamente soli — ma neppure circondati da potenze galattiche pronte a distruggerci o ignorarci. Come scrive l’autore, un Universo “meno terrificante” è anche un Universo più realistico:
«Se esistono altre civiltà, potrebbero semplicemente non essere così straordinarie da lasciarci senza parole. E questo, paradossalmente, è un pensiero che rassicura».
Cosa ne pensano gli altri scienziati?
Alcuni esperti hanno accolto la teoria con curiosità, ma anche con cautela. Il professore Michael Garrett, dell’Università di Manchester, ha osservato che potremmo comunque sottovalutare le capacità delle civiltà aliene: forse sono davvero avanzatissime, ma non siamo ancora in grado di riconoscerne i segni. Altri, invece, apprezzano la prospettiva di Corbet perché riporta il discorso su un terreno razionale: non più fantascienza, ma astrobiologia. Cosa possiamo davvero aspettarci, in base ai limiti fisici, sociali ed energetici che ogni civiltà — anche aliena — deve affrontare?
Conclusione
Il messaggio, in fondo, è semplice: forse gli alieni non sono nascosti perché sono mostri super-evoluti o entità trascendenti, ma perché sono più simili a noi di quanto pensiamo. E in un universo che ama le proporzioni, questa potrebbe essere la spiegazione più sensata di tutte.
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