3I/ATLAS, la ricerca di technosignature e la Loeb Scale
Quando 3I/ATLAS ha attraversato il Sistema Solare, la reazione iniziale è stata quasi automatica: classificarlo, archiviarlo, normalizzarlo. Un altro oggetto interstellare, il terzo mai osservato. Fine della storia. Ma più i dati si accumulavano, più questa narrazione si è rivelata insufficiente. Oggi ci troviamo davanti a un caso raro in cui due livelli di analisi convivono senza annullarsi: da un lato, le osservazioni SETI di Breakthrough Listen, che escludono la presenza di segnali artificiali; dall’altro, il lavoro di Avi Loeb, che mostra come – anche senza tirare in ballo gli alieni – 3I/ATLAS resti fisicamente problematico. Questo articolo non cerca una risposta definitiva. Fa qualcosa di più utile: ricostruisce il quadro completo, mettendo in riga dati, modelli e limiti epistemologici.

Il risultato SETI: negativo, ma tutt’altro che banale
L’osservazione radio di 3I/ATLAS da parte di Breakthrough Listen è stata una delle più sensibili mai condotte su un oggetto interstellare. Il Green Bank Telescope ha monitorato l’oggetto su un ampio intervallo di frequenze (circa 1–12 GHz), alla ricerca di technosignature: segnali stretti, coerenti, modulati, incompatibili con sorgenti naturali, chiaro indice di impulsi da parte di vita intelligente di origine non-umana. Il risultato è stato esplicito: nessun segnale attribuibile a tecnologia.
Questo dato va interpretato con precisione. Non dice che 3I/ATLAS sia “normale”. Dice solo che non sta trasmettendo – intenzionalmente o accidentalmente – radio rilevabili. È una risposta netta a una domanda molto specifica, e solo a quella. Ed è proprio qui che nasce l’equivoco mediatico: l’assenza di segnali non equivale a una spiegazione completa.
Perché 3I/ATLAS non è interessante nonostante sia interstellare, ma per come lo è
Essere un oggetto interstellare non è più sufficiente per fare notizia. Dopo ʻOumuamua e Borisov, sappiamo che il Sistema Solare non è isolato. La vera questione è un’altra: 3I/ATLAS concentra più caratteristiche rare nello stesso oggetto. Nel suo lavoro di divulgazione condotto tramite la piattaforma Medium, Avi Loeb non sostiene che l’oggetto sia artificiale. Fa qualcosa di più scomodo: mostra che i modelli standard funzionano, ma solo forzandoli.
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La polvere: il primo vero punto di attrito
Uno dei dati più solidi riguarda la dimensione dei grani di polvere rilasciati da 3I/ATLAS. Non parliamo di particelle fini, facilmente trascinate via dal gas, ma di grani grandi, massicci, difficili da accelerare.
Questo crea un problema energetico:
- la sublimazione standard dei ghiacci produce polvere fine;
- espellere grani grandi richiede pressioni, getti o coesione strutturale non comuni;
- i modelli devono ipotizzare una composizione meccanica insolita del nucleo
Nulla di impossibile. Ma ogni aggiustamento riduce la probabilità complessiva.
La coda e l’anti-coda: geometrie che chiedono troppe coincidenze
Le immagini mostrano una coda principale estremamente collimata e una anti-coda persistente, con variazioni morfologiche nel tempo. Queste strutture non sono ignote alla cometologia, ma la loro combinazione lo è.
Per spiegarle servono:
- un orientamento molto specifico dell’asse di rotazione;
- una distribuzione anisotropa (ovvero variabile) delle zone attive;
- una composizione dei materiali particolarmente stabile.
Di nuovo, il problema non è che non esistano spiegazioni, ma che ne servano troppe contemporaneamente.
Getti instabili e dinamica irregolare
Alcuni dati suggeriscono getti che:
- non seguono una periodicità chiara;
- cambiano orientamento;
- non sembrano correlati a una rotazione semplice del nucleo.
In un oggetto osservato solo per pochi mesi, questo apre una frattura epistemologica:
stiamo osservando un fenomeno intrinsecamente raro o solo una finestra parziale su qualcosa di ordinario? La scienza non può rispondere con sicurezza. Può solo mappare l’incertezza.
Accelerazioni non gravitazionali: il fantasma di ʻOumuamua
Come per ʻOumuamua, emergono indizi di dinamica non puramente gravitazionale.
Loeb esplora ipotesi naturali:
- outgassing altamente direzionale;
- composizioni volatili atipiche;
- interazione con la radiazione solare.
Tutte plausibili. Tutte al limite dei modelli. Il punto cruciale è che queste spiegazioni funzionano una alla volta, ma fanno fatica a spiegare tutto insieme.
La “Loeb Scale”: un sistema di analisi, non una dichiarazione
Uno degli aspetti più fraintesi è la cosiddetta Loeb Scale, una scala di analisi proposta Avi Loeb stesso. Non è una scala di “alienità”, ma uno strumento concettuale per distinguere tra:
- ciò che è spiegato;
- ciò che è spiegabile con assunzioni forti;
- ciò che resta aperto.
3I/ATLAS oggi:
- non è classificato come artificiale;
- rientra in una zona grigia: oggetto naturale statisticamente anomalo.
Loeb lo ribadisce più volte: le anomalie non sono prove, ma segnali di incompletezza teorica.
SETI e anomalie non sono in conflitto

Non esiste alcuna contraddizione tra:
- l’assenza di technosignature;
- la presenza di anomalie fisiche.
Anzi, questa combinazione è esattamente ciò che ci si aspetta se:
- l’oggetto è naturale;
- proviene da un ambiente di formazione planetaria diverso da quello osservato fino ad ora;
- appartiene a una popolazione che abbiamo campionato pochissimo.
Il vero problema non è 3I/ATLAS, ma è quanto poco sappiamo di ciò che è “normale” fuori dal Sistema Solare.
Un oggetto che mette in crisi le scorciatoie
3I/ATLAS non chiede fede. Chiede tempo, dati e onestà intellettuale. Non è una prova di tecnologia aliena. Ma è anche una smentita dell’idea che tutto ciò che non capiamo sia automaticamente banale. Il suo valore scientifico sta nel costringerci a una posizione scomoda: accettare che la natura possa essere più creativa dei nostri modelli, senza per questo invocare spiegazioni straordinarie. E forse è proprio questa la lezione più importante che questo oggetto interstellare può offrirci.
Fonti essenziali:



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