Incidente UFO di Aztec (1948): storia, versioni e indagini

Nel panorama dell’ufologia, il cosiddetto “UFO crash di Aztec” occupa un posto controverso e affascinante. Conosciuto anche come “l’altro Roswell”, riguarda la presunta caduta e il recupero segreto di un disco volante nell’Hart Canyon, vicino Aztec (New Mexico), nel marzo 1948. La storia emerse alla fine degli anni ’40 grazie al giornalista Frank Scully – e se siete fan di X-files questo nome vi ricorderà qualcosa suscitando clamore e curiosità. Tuttavia, pochi anni dopo venne bollata come una frode architettata da abili truffatori, gettando un’ombra di dubbio su tutta la vicenda. In questo articolo esamineremo l’incidente di Aztec in dettaglio: ricostruiremo la timeline dei fatti, i protagonisti coinvolti, le versioni contrastanti (dai sostenitori ai debunker), e lo stato attuale del dibattito. Tra mito, indagini giornalistiche, assenza di prove tangibili e confronti con altri casi UFO celebri, cercheremo di capire cosa è documentato e cosa resta avvolto nel mistero, offrendo una visione equilibrata di uno degli episodi più discussi della ufologia americana.
Pittura rupestre del popolo degli antichi indiani pueblo (VII d.C – IX d.C.), nativi dell’area di Aztec

Contesto storico: ondata di avvistamenti UFO nel dopoguerra

Per capire il “caso Aztec” è importante collocarlo nel contesto dell’ondata di avvistamenti UFO del dopoguerra. Nel 1947 l’attenzione pubblica verso i “dischi volanti” esplose dopo il celebre avvistamento di Kenneth Arnold (24 giugno 1947) e soprattutto il presunto incidente di Roswell (New Mexico, luglio 1947). In quell’episodio – poi spiegato ufficialmente come il pallone segreto Project Mogul – la notizia di un “disco volante” recuperato dall’esercito fece il giro dei giornali in poche ore, salvo essere ritirata il giorno seguente. Sebbene il clamore di Roswell si spense rapidamente all’epoca, tra il 1947 e il 1949 si moltiplicarono gli avvistamenti di oggetti misteriosi nei cieli degli Stati Uniti e non solo. L’opinione pubblica e i media iniziarono a prendere sul serio la possibilità di velivoli extraterrestri e l’Aeronautica militare avviò progetti di studio come Project Sign e Project Grudge (precursori del progetto Blue Book) per raccogliere e analizzare le segnalazioni.
È in questo clima di fervente interesse che Frank Scully, giornalista e columnist di Variety, iniziò a raccontare di sensazionali recuperi di UFO da parte del governo. Voci su scontri di astronavi e corpi alieni circolavano già nell’ambiente ufologico, complice anche l’emergere di sedicenti informatori. Nel 1949, appena due anni dopo Roswell, Scully affermò di essere venuto in contatto con fonti anonime che gli riferirono di ulteriori crash di dischi volanti avvenuti in segreto. Le sue rivelazioni – se vere – avrebbero confermato che Roswell non era un caso isolato, ma parte di una serie di recuperi tenuti nascosti all’opinione pubblica. Fu su queste basi che prese forma il racconto dell’incidente UFO di Aztec, destinato a diventare una delle storie più discusse della prima era ufologica.

Cronologia dell’evento di Aztec (1948–1956)

Ricostruiamo di seguito la cronologia degli eventi.

25 marzo 1948

Nelle prime ore del mattino (intorno alle 5:00, secondo alcune fonti), un oggetto volante non identificato sarebbe precipitato o effettuato un atterraggio di emergenza su un altopiano desertico dell’Hart Canyon, circa 12 miglia a nord-est di Aztec, New Mexico. Alcuni operai petroliferi presenti nell’area notarono ciò che inizialmente parve un incendio di sterpaglie sulla mesa. Avvicinandosi, si trovarono davanti un grande velivolo metallico a forma di disco – circa 30 metri di diametro – intatto ma fermo sul terreno. Secondo i racconti successivi, gli operai (tra cui un certo Doug Noland, identificato solo decenni dopo) saliti sul disco scorsero al suo interno diversi corpi senza vita di piccola statura. Nel frattempo sarebbero giunti sulla scena agenti di polizia locale, ma nessuno impedì ai civili di curiosare intorno al misterioso oggetto.

Mattina 25 marzo 1948

Entro poche ore, la situazione cambiò radicalmente: il personale militare arrivò in elicottero a isolare l’area. Si sostiene che almeno 2 o 3 squadre – fino a 100-200 uomini in totale – fossero coinvolte nell’operazione di recupero, condotta con massima segretezza. Il disco sarebbe stato esaminato in loco da tecnici e scienziati, i quali riuscirono ad accedervi aprendo un portello (forse attivato dall’esterno tramite una sonda infilata in una piccola fessura della fusoliera). All’interno, stando al racconto, furono trovati 16 cadaveri di umanoidi alti circa 1 metro (in alcune versioni si parla di 14 corpi). I corpi apparivano carbonizzati di colore scuro, forse a causa di un’esposizione a gas o radiazioni durante la caduta. Entro il pomeriggio, l’intera area sarebbe stata delimitata e i testimoni civili allontanati con minacce di non divulgare nulla.

26 marzo – inizio aprile 1948

Per circa due settimane i militari avrebbero lavorato per smontare e rimuovere il velivolo dalla mesa. Il recupero fu complicato dalle dimensioni dell’oggetto e dal terreno sabbioso: secondo le fonti ufologiche, fu necessario gettare una piattaforma di cemento sul luogo per consentire a una gru di operare stabilmente senza sprofondare. Il disco venne infine caricato e trasportato via (forse in pezzi) su autocarri militari. Tutti i rottami, i corpi e i materiali raccolti furono inviati inizialmente ai Laboratori di Los Alamos – lo stesso in cui Bob Lazar dichiara di essere entrato in contatto con reperti extraterrestri – per analisi scientifiche segrete. In seguito, si dice che i reperti siano stati trasferiti alla Wright-Patterson Air Force Base (Ohio), sede di altre presunte evidenze UFO come i resti di Roswell.

1948–1949

Nonostante l’operazione su vasta scala ipotizzata, nessun giornale dell’epoca riportò alcun incidente ad Aztec. L’episodio rimase sconosciuto al pubblico per oltre un anno. Le autorità locali e i residenti di Aztec, a quanto risulta, non notarono movimenti militari insoliti in quei giorni. Solo nell’autunno 1949 la vicenda fece capolino, in forma anonima, sulle colonne di Variety: Frank Scully pubblicò infatti nell’ottobre e novembre 1949 due articoli in cui accennava a ben due dischi volanti atterrati negli Stati Uniti sud-occidentali. Egli non rivelò i luoghi esatti (parlò genericamente di Mojave Desert e un sito in Arizona, forse per depistare), ma fece allusioni a scienziati segreti, tecnologie magnetiche e corpi di “omini” alieni tenuti nascosti dal governo. Nonostante lo stile ammiccante, quei pezzi gettarono le basi del mito.

Settembre 1950

Forte dell’interesse suscitato, Scully pubblicò il libro Behind the Flying Saucers, un best-seller che per la prima volta raccontava in dettaglio l’incidente di Aztec, qui svelato come località precisa. Il libro rivelava i nomi degli informatori di Scully: un ricco uomo d’affari, Silas M. Newton, e un anonimo “Dr. Gee” (poi identificato come Leo A. Gebauer). Secondo il resoconto di Scully, il disco di Aztec misurava 99 piedi (circa 30 metri) di diametro ed era costruito in leghe sconosciute, virtualmente indistruttibili e resistenti al calore. Al suo interno, oltre ai 16 corpi, furono trovate provviste di “acqua pesante” e biscotti concentrati come cibo per il viaggio, nonché strani geroglifici incisi su alcune paratie (come riportano anche i testimoni dell’incidente di Rendelsham Forest. Scully aggiunse che altri dischi erano precipitati (di cui uno in Arizona), e concluse sostenendo che tali velivoli provenivano probabilmente da Venere e funzionavano attraverso la propulsione magnetica. Le affermazioni erano talmente audaci che uno scrittore scientifico, Martin Gardner, bollò il libro di Scully come colmo di farneticazioni ed errori grossolani in campo scientifico.

1952

Il racconto di Scully attirò anche scetticismo e attenzioni investigative. Il giornalista J. P. Cahn del San Francisco Chronicle si mise sulle tracce di Newton e Gebauer, insospettito dalla mancanza di testimoni verificabili. Dopo mesi di ricerche, Cahn scrisse un lungo articolo per la rivista True (pubblicato nel numero di settembre 1952) dal titolo “The Flying Saucers and the Mysterious Little Men”, che smontava pezzo per pezzo la storia di Aztec. Poco dopo (agosto 1956) True pubblicò un suo secondo pezzo, “Flying Saucer Swindlers”, rivelando nuovi dettagli sugli inganni di Newton e soci. L’impatto fu enorme: la comunità ufologica, fino ad allora incuriosita dal caso Aztec, iniziò a considerarlo un hoax conclamato.

1953

Sull’onda delle rivelazioni di True, uno degli investitori raggirati da Newton – il petroliere Herman A. Flader di Denver – sporse denuncia per truffa. Silas Newton e Leo Gebauer furono arrestati e processati per frode ai danni di Flader e altri. Emersero dettagli imbarazzanti: i due avevano venduto a Flader un fantomatico apparecchio “scova-petrolio” a tecnologia aliena per 18.500 dollari, quando in realtà si trattava di componenti di ricambio radio che valevano appena 3,50 $. Nel dicembre 1953 Newton e Gebauer furono condannati per frode (pena pecuniaria e libertà vigilata). La sentenza di fatto confermava che tutto il loro racconto – incluso l’incidente di Aztec – era un’enorme montatura per trarre profitto. Da quel momento, per oltre vent’anni, del caso Aztec si parlò pochissimo in ambienti seri: divenne sinonimo di bufala ufologica.
Targa commemorativa del punto dell’UFO crash

Le diverse versioni dei fatti

La versione originale di Frank Scully (1948–50)

Come detto, Frank Scully fu il primo a portare alla luce la storia dell’UFO crash di Aztec, presentandola come un fatto reale ma tenuto segreto dai militari. Nel suo libro del 1950 Behind the Flying Saucers, Scully racconta di aver appreso la vicenda da due uomini ben informati: Silas M. Newton, imprenditore petrolifero, e un certo “Dr. Gee”, misterioso scienziato coinvolto nei presunti recuperi di dischi. La versione di Scully ripercorre l’episodio di Hart Canyon con ricchezza di dettagli tecnico-fantascientifici. Egli afferma che un enorme disco metallico di circa 30 metri venne recuperato il 25 marzo 1948 vicino Aztec, contenente 16 corpi di umanoidi alti circa 90 cm. Scully descrive i corpi come esseri proporzionati ma di statura minuta e curiosamente vestiti con abiti simili alla moda del Midwest degli anni 1890, confezionati in un tessuto ignoto e resistente agli strappi. Tutti erano deceduti, forse a causa di un incidente occorso durante il volo: nel disco infatti fu trovato un piccolo foro su un oblò e Scully ipotizza che da lì possano essere entrati gas letali durante l’attraversamento dell’atmosfera terrestre.
Scully sostiene che la tecnologia del velivolo fosse straordinariamente avanzata rispetto a qualsiasi cosa nota sulla Terra. Il disco – definito “una sorta di elicottero a controllo magnetico” – non presentava motori a reazione né eliche, ma un sistema di rotazione del bordo esterno attorno a una cabina centrale fissa. Secondo “Dr. Gee”, il mezzo viaggiava sfruttando linee di forza magnetiche tra i pianeti: partendo da Venere, il suo pianeta d’origine secondo Scully, avrebbe potuto raggiungere la Terra in 42 minuti seguendo correnti magnetiche solari. Dentro l’astronave furono rinvenuti oggetti bizzarri: scorte di acqua pesante (ossido di deuterio) usata come acqua potabile e “cibo concentrato in wafer” per l’equipaggio. Gran parte dei materiali costruttivi risultò di natura sconosciuta, “due metalli mai visti sulla Terra” scrive Scully. Gli scienziati (sempre secondo Scully) avrebbero esaminato il disco con contatori Geiger e raggi cosmici per assicurarsi che non vi fossero pericoli prima di entrare.
Un altro elemento curioso riguarda le presunte iscrizioni trovate nel velivolo. Scully parla di simboli simili a geroglifici incisi all’interno. Secondo l’autore, tutti i reperti – disco, corpi, detriti – furono portati alla base di Wright-Patterson AFB in Ohio, notoriamente al centro di molte leggende ufologiche. Il racconto di Scully, così ricco di dettagli e aneddoti, colpì l’immaginario popolare. Tuttavia, sin da subito non mancarono i dubbi. Molti scienziati bollarono la storia come assurda, e alcuni giornalisti iniziarono a chiedersi chi fossero davvero Newton e “Dr. Gee”.

L’inchiesta di True Magazine e la smentita (1952–53)

Nel 1952 la svolta: il caso Aztec crollò sotto il peso di un’approfondita inchiesta giornalistica condotta da John Philip Cahn (detto J.P. Cahn) per la rivista True. Cahn si recò ad Aztec e dintorni per verificare sul campo: non trovò alcun testimone locale dell’incidente, né tracce di movimenti militari insoliti nel periodo indicato. In parallelo investigò sull’identità di “Dr. Gee” e scoprì che dietro quel soprannome si celava Leo A. Gebauer, un tecnico elettronico di Phoenix legato a Silas Newton. I due – Newton e Gebauer – risultarono aver girato negli ultimi anni in varie città proponendo investimenti in un dispositivo miracoloso per trovare giacimenti di petrolio, gas e minerali. Secondo Newton, tale “doodlebug magnetico” era in grado di rilevare i depositi sotterranei grazie a principi alieni appresi dalla tecnologia del disco volante di Aztec. In realtà, come scoprì il reporter Cahn, Newton e il suo socio vendevano dispositivi truffaldini: fecero credere all’industriale Herman Flader di Denver che il loro marchingegno (costruito con componenti radio di avanzo) valesse una cifra enorme e potesse individuare petrolio ovunque.
L’indagine di Cahn raggiunse l’apice quando riuscì a mettere le mani sul presunto “frammento metallico alieno” che Newton mostrava ai potenziali investitori come prova tangibile di Aztec. Cahn sottrasse il pezzetto di metallo e lo fece analizzare in laboratorio. L’esito fu imbarazzante per Newton: si trattava di comunissimo alluminio da pentole, privo di qualunque proprietà fuori dal normale. Smontato anche l’ultimo presunto “reperto” alieno, Cahn poté scrivere con sicurezza che tutto il crash di Aztec era un elaborato castello di menzogne costruito da Newton e Gebauer per dare credibilità alla loro truffa finanziaria.
Nel 1953 la vicenda giudiziaria suggellò quanto emerso: Newton e Gebauer, portati in tribunale dal milionario Herman Flader, furono dichiarati colpevoli di frode e condannati. Durante il processo emerse che Newton aveva gradualmente iniziato a ritrattare le sue stesse affermazioni sugli UFO man mano che la verità veniva a galla. L’effetto delle inchieste di True Magazine fu dirompente: nel giro di pochi anni il caso Aztec passò da sensazionale scoop ufologico a esempio da manuale di bufala.
Va detto che Frank Scully, nonostante tutto, continuò a difendere la storia, sostenendo di essere vittima di un complotto diffamatorio.

Rivalutazioni e teorie moderne (anni ’70–oggi)

Dal finire degli anni ’70, complice una generale “rinascita” dell’ufologia dopo il caso Roswell, anche la storia di Aztec cominciò a essere rivisitata. Nel 1974 lo scrittore Robert Spencer Carr affermò pubblicamente che i corpi alieni recuperati ad Aztec erano stati depositati nell’hangar segreto “18” a Wright-Patterson AFB, provocando addirittura una smentita ufficiale da parte dell’Aeronautica militare.
Il primo tentativo organico di “riabilitare” il caso arrivò nel 1986 con la pubblicazione di “UFO Crash at Aztec: A Well Kept Secret” ad opera di William Steinman e Wendelle Stevens. Questo libro introduceva nuove testimonianze anonime a supporto dell’incidente. Secondo gli autori, il crash di Aztec avvenne davvero e fu oggetto di un insabbiamento militare massiccio fin dal primo giorno. Affermarono che il disco sarebbe stato tracciato da tre diverse stazioni radar la notte dell’evento e che i corpi alieni recuperati erano 14. Il libro fu accolto con scetticismo anche da molti ufologi perché presentava poche prove verificabili e le fonti chiave rimasero anonime.
Nonostante la freddezza iniziale, nella comunità UFO si tornò a discutere di Aztec come “caso da riaprire”. Negli anni ’90 la cittadina di Aztec colse l’occasione per valorizzare turisticamente il proprio “mistero”: partì l’Aztec UFO Symposium e venne posta una targa commemorativa sul luogo dell’incidente, riassumendo la versione del crash.
Paradossalmente, mentre la città abbracciava il suo folklore UFO, il dibattito investigativo continuava. Nel 2011 fu rilanciato il Memo Hottel dell’FBI – un documento del 1950 – che parlava del recupero di tre dischi volanti in New Mexico con tre corpi ciascuno a bordo. L’FBI stessa intervenne a chiarire che il memo non era una prova: si trattava di un’informazione non verificata, probabilmente un rimaneggiamento delle voci di corridoio o un hoax in circolazione all’epoca, risalente a Silas Newton stesso.
Nello stesso periodo, la ricerca sul campo compiuta da Scott e Suzanne Ramsey culminò nella pubblicazione del 2012 di The Aztec UFO Incident: The Case, Evidence, and Elaborate Cover-up of one of of the Most Perplexing Crashed in History. I Ramsey dedicarono oltre 25 anni a setacciare archivi e ricercare testimoni. Affermano di aver identificato vari testimoni di seconda mano e persino un paio di testimoni diretti ormai deceduti, come Doug Noland, un operaio petrolifero che avrebbe descritto di aver trovato il grande disco metallico adagiato sulla mesa. Nonostante l’encomiabile sforzo, anche il libro dei Ramsey non è riuscito a ribaltare il consenso generale: la mole di informazioni raccolte non contiene evidenze concrete capaci di fugare i dubbi storici sul caso Aztec.

Le “prove” materiali dichiarate (disco, corpi, reperti)

Uno degli aspetti critici del caso Aztec è la totale mancanza di prove fisiche verificabili nonostante l’eccezionalità dei fatti narrati.
  • Il disco volante: Avrebbe avuto un diametro di ~30 metri, recuperato praticamente intatto. Eppure non ne esiste alcuna foto o rapporto ufficiale. Sarebbe stato smontato e trasportato segretamente a basi militari; da allora nessun frammento è mai emerso. La composizione metallica del disco, stando a Scully, includeva leghe ignote e resistentissime. Ma l’unico campione mostrato (da Newton) si rivelò banale alluminio.
  • I corpi alieni: Si parla di 14-16 salme di piccoli umanoidi carbonizzati. Anche qui, nessuna prova tangibile: nessuna foto, nessun referto autoptico, nulla. Non esistono testimonianze dirette di personale militare che dichiari di aver visto questi corpi.
  • Tracce sul terreno: Non risultano crateri né segni documentati sul luogo del presunto impatto. I sostenitori insistono sulla presenza di una lastra di cemento rettangolare sul pianoro, chiaramente artificiale e fuori contesto. I fautori ritengono che sia la base gettata nel 1948 per sostenere la gru durante l’operazione di recupero di qualcosa di molto pesante. Al momento resta un indizio ambiguo, incapace di confermare o smentire nulla da solo.
  • Il “metal fragment” di Newton: Come già detto, era l’unico reperto mostrato ai media, rivelatosi un trucco. Era una piccola placchetta di alluminio ordinario che Newton spacciava come frammento di astronave.
  • Documenti segreti: Non esiste ad oggi alcun documento ufficiale declassificato che attesti direttamente l’incidente di Aztec. Il memo Hottel dell’FBI non prova nulla se non la circolazione di voci.
In sintesi: le prove materiali latitano. Tutto ciò che viene mostrato a supporto del caso Aztec rientra nella categoria di indizi deboli o interpretabili, e questo pesa enormemente nella valutazione complessiva.
Frank Scully (1892 – 1964)

Analisi scettica: incongruenze e ipotesi di frode

Dal punto di vista degli investigatori scettici, l’incidente di Aztec presenta numerose incongruenze e indica chiaramente un caso di frode o leggenda urbana anziché un evento reale.
  • Nessuna conferma contemporanea: Un crash di tali proporzioni – con operazioni militari durate giorni e il coinvolgimento di centinaia di persone – avrebbe dovuto lasciare tracce o voci nell’immediato. Invece nulla trapelò nel 1948. Le indagini di Cahn evidenziarono che gli abitanti di Aztec non ricordavano alcun movimento insolito di truppe.
  • Fonti originarie inaffidabili: Tutta la storia iniziale proveniva esclusivamente da Silas Newton e Leo Gebauer, persone con evidenti secondi fini, smascherati come truffatori seriali. Newton continuò con altre frodi anche dopo il caso Aztec.
  • Motivazioni finanziarie evidenti: L’intera vicenda Aztec appare costruita attorno al “doodlebug scam”. Legando il macchinario per trovare petrolio a una tecnologia aliena segreta, Newton & Co. resero la loro offerta unica e irripetibile. L’UFO di Aztec, in sostanza, non era altro che una copertura narrativa per un raggiro.
  • Errori tecnici e scientifici: I dettagli forniti da Scully sul funzionamento e la provenienza del disco sono pieni di assurdità per un occhio esperto. La traiettoria Venere-Terra in 42 minuti su linee magnetiche è pseudoscienza pura. Le continue variazioni dei racconti indeboliscono la credibilità complessiva.
  • Assenza di reperti fisici: In mancanza di prove tangibili, un caso UFO regge solo se le testimonianze sono robuste e coerenti. Quelle di Aztec non lo sono: molte sono di seconda mano, e nessuna immediata al 1948.
  • Posizione delle autorità: L’FBI e l’Air Force hanno sempre trattato Aztec come un non-evento. Il Project Blue Book non riporta il caso. Ciò porta a concludere che per le autorità il caso semplicemente non è mai esistito nella realtà (se non come notizia da smentire).
  • Alla luce di tutto ciò, la posizione scettica è che l’incidente di Aztec fu “il più grande imbroglio ufologico del suo tempo”.

Analisi a favore: testimonianze e indizi a supporto

Nonostante la mole di elementi contrari, esiste ancora una corrente di pensiero – alimentata in particolare dai ricercatori come i Ramsey – che ritiene l’incidente di Aztec un evento realmente accaduto, insabbiato dalle autorità.
  • Testimonianze locali tardive: I sostenitori sottolineano che col tempo sono emerse testimonianze, seppur tardive, che sembrano confermare parti della storia. Il caso di Doug Noland, ad esempio, è presentato come un testimone oculare rintracciato negli anni ’80 che indipendentemente ha raccontato lo scenario del disco sul mesa.
  • Indizi fisici sul luogo: Un punto su cui i fautori insistono è la lastra di cemento trovata sul luogo. Per quanto non definitiva, rappresenta un elemento concreto difficile da spiegare: “perché mai qualcuno avrebbe dovuto gettare un basamento di cemento in cima a una mesa desolata?”. L’idea che possa essere servita a una gru per recuperare qualcosa di molto pesante appare plausibile.
  • Il memo Hottel e riscontri documentali indiretti: I fautori, pur ammettendo che il memo Hottel è un report di terza mano, fanno notare che i dettagli (tre dischi, corpi piccoli, interferenza col radar) coincidono strettamente con il mosaico Aztec. Sostengono che è troppa coincidenza per essere solo un rumor: l’FBI scoprì qualcosa ma la cosa fu fermata dall’alto e archiviata.
  • Complotto mediatico contro Scully: Alcuni sostengono che J.P. Cahn e i media abbiano deliberatamente “massacrato” Scully per insabbiare la verità. In quest’ottica, i più complottisti sostengono: “non stupisce che tutti pensino sia un hoax – è proprio quello che volevano farci credere!”.
  • Similarità con Roswell e altre storie: Chi crede in Aztec fa notare come molti elementi ricorrano in altri casi UFO: i geroglifici, la minaccia ai testimoni di tacere. Loro ipotizzano che Roswell e Aztec facessero parte di una stessa ondata di crash.
In definitiva, la posizione possibilista sostiene che non si può escludere al 100% che il crash di Aztec sia avvenuto. L’assenza di prove viene spiegata con la straordinaria efficacia del cover-up.

Conclusioni e prospettive future

A oltre settant’anni dai fatti, il mistero dell’UFO crash di Aztec rimane in bilico tra leggenda e realtà negata. La stragrande maggioranza degli storici e ricercatori propendono per la spiegazione più semplice: fu un hoax (bufala), una storia inventata da Newton e Gebauer e gonfiata dal sensazionalismo dell’epoca, poi efficacemente smentita. In quest’ottica, Aztec rappresenta un monito su quanto facilmente miti e truffe possano intrecciarsi all’entusiasmo per l’ignoto. D’altra parte, una minoranza di appassionati continua a investigare con la convinzione che dietro le macerie della credibilità possa celarsi un nocciolo di verità scomoda. Non possono essere completamente ignorati gli sforzi di chi – come i coniugi Ramsey – ha dedicato decenni a scovare testimonianze e anomalie.
Cosa riserva il futuro per il caso Aztec? Nuove ricerche d’archivio o l’uso di tecnologie moderne, come il telerilevamento e il LiDAR sul sito di Hart Canyon, potrebbero regalare sorprese. Un settore promettente è l’analisi scientifica della lastra di cemento: datandola con precisione, si potrebbero ottenere dati interessanti. Indipendentemente dall’esito, il caso Aztec continua ad avere un impatto culturale. Rappresenta un capitolo affascinante della “mitologia UFO” americana. La sua storia offre una lezione preziosa: l’importanza del sano scetticismo ma anche dell’apertura mentale. In conclusione, possiamo affermare che l’incidente UFO di Aztec, molto probabilmente, non avvenne mai nei termini narrati e appartiene al regno dei miti smontati. Tuttavia, finché resteranno zone d’ombra e sostenitori appassionati, esso continuerà a vivere come una sorta di “cold case” ufologico.
Curiosità: vi siete chiesti quale sia l’origine del toponimo “Aztec“? Il nome nacque da un errore dei primi coloni, che attribuirono le antiche rovine locali agli Aztechi del Messico. In realtà, si trattava di strutture costruite dagli Anasazi, ovvero gli antichi indiani pueblo, che abitarono l’area fra i VII e il XIV secolo d.C. L’equivoco diede origine al nome della città e al sito archeologico annesso, le cosiddette “Aztec Ruins”.
Le antiche rovine di Aztec, eredità degli antichi indiani pueblo.

Domande frequenti sull’incidente di Aztec

L’incidente UFO di Aztec è collegato al caso Roswell?

Sia Aztec (1948) che Roswell (1947) riguardano presunti UFO precipitati con recupero di corpi alieni, ma non vi sono prove di un collegamento diretto. Roswell ebbe copertura mediatica immediata ed è generalmente associato a un pallone militare caduto. Aztec emerse solo tramite racconti successivi e fu presto smascherato come frode legata a una truffa. Sebbene spesso accomunati nell’immaginario UFO, Roswell e Aztec sono due eventi distinti.

Che cos’è il “Memo Hottel” dell’FBI e cosa c’entra con Aztec?

Il Memo Hottel è un breve rapporto interno inviato il 22 marzo 1950 dall’agente FBI Guy Hottel. Nel memo si riporta la storia (raccolta da un informatore di terza mano) di tre dischi volanti recuperati in New Mexico con piccoli alieni a bordo. Questo documento è spesso associato al caso Aztec. Tuttavia, l’FBI ha chiarito ufficialmente che tale memo non è la “prova” di un crash: non fu mai investigato perché considerato non attendibile. Analisi storiche indicano che Hottel stava probabilmente riferendo un rumor ispirato proprio alle storie di Scully/Newton.

Ci sono prove concrete o testimonianze affidabili dell’incidente di Aztec?

Ad oggi non esistono prove fisiche pubblicamente riconosciute dell’incidente di Aztec. Tutto ciò che è stato presentato come evidenza si è rivelato inconsistente: l’oggetto metallico mostrato da Newton era semplice alluminio; nessun rottame o foto del disco è mai emerso; nessun documento militare coevo conferma recuperi nel marzo 1948. Le testimonianze dirette raccolte sono poche e tardive. I soli attori primari furono Scully e i suoi informatori, rivelatisi inaffidabili.

È possibile visitare oggi il luogo del presunto crash di Aztec?

Sì. Il sito dell’incidente è accessibile e persino segnalato per i visitatori. Si trova su una mesa nell’Hart Canyon, circa 12 miglia a NE di Aztec (Nuovo Messico). Dal 1998 la comunità locale organizza eventi e tour in zona, e un sentiero chiamato “Alien Run Trail” conduce al punto esatto. Qui si trova una targa commemorativa installata nel 2007. È visibile anche la misteriosa lastra di cemento sul terreno. L’ingresso al sito è libero e ben indicato con cartelli stradali (“UFO Crash Site”).

Fonti e risorse

  • Frank Scully – Behind the Flying Saucers, Henry Holt and Company, 1950.
  • J.P. Cahn – “Flying Saucers and the Mysterious Little Men”, True Magazine, settembre 1952.
  • J.P. Cahn – “Flying Saucers: The Hoax Revisited”, True Magazine, luglio 1956.
  • Scott Ramsey, Suzanne Ramsey, Frank Thayer – The Aztec UFO Incident: The Case, Evidence, and Elaborate Cover-Up, New Page Books, 2016.
  • William S. Steinman – UFO Crash at Aztec, insieme a Wendelle C. Stevens, UFO Photo Archives, 1986.
  • Kevin D. Randle – UFOs in the 1990s: A Report, Avon Books, 1990.
  • Curt Collins – “Aztec 1948: The Other Roswell Crash”, The Saucers That Time Forgot, articolo online, 2018.
  • Philip J. Klass – UFOs Explained, Random House, 1974.
  • Edward J. Ruppelt – The Report on Unidentified Flying Objects, Doubleday, 1956.
  • Blue Book Archive – Documentazione declassificata dell’USAF sul fenomeno UFO (1947–1969).
  • New Mexico Historical Society – Archivi locali su Aztec e Hart Canyon.
  • FBI Vault – Documenti FOIA relativi a Silas Newton e attività collegate (anni ’50).
  • NICAP (National Investigations Committee on Aerial Phenomena) – Dossier su casi UFO 1947–1955.
  • MUFON Journal – Vari articoli sul caso Aztec e sulle revisioni del XX e XXI secolo.

Classe 1988. Laureata in Studi Orientali presso l'Università La Sapienza di Roma, Search Analyst di professione. Amante di storia, archeoastronomia, ufologia e paranormale. Consumatrice patologica di podcast. Nel 2023 ho fondato Lux Aliena, un progetto nato dal desiderio di condividere il viaggio alla scoperta dei misteri irrisolti del nostro pianeta e dell’universo.

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