C’è un capitolo poco noto, ma fondamentale, nella storia dell’ufologia americana. Non riguarda luci nel cielo, incontri ravvicinati o navicelle spaziali precipitate, bensì la manipolazione della verità da parte delle istituzioni, il confine sfumato tra paranoia e controspionaggio, tra ricerca e follia. Questa è la storia di Paul Bennewitz, un cittadino convinto di aver scoperto una cospirazione aliena nel cuore del New Mexico, e di Richard Doty, l’agente dell’Air Force che lo convinse di avere ragione. O quasi.
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Il contesto storico: UFO, Guerra Fredda e paranoia istituzionale
Per comprendere la vicenda Bennewitz-Doty, bisogna immergersi nell’America degli anni ’70 e ’80. Il paese era in piena Guerra Fredda, con un clima di diffidenza reciproca tra superpotenze e una corsa agli armamenti tecnologici senza precedenti. Le agenzie d’intelligence americane, come la CIA, l’NSA e l’AFOSI, non solo spiavano nemici esterni, ma conducevano anche operazioni psicologiche interne per proteggere progetti top-secret.
Allo stesso tempo, il fenomeno UFO godeva di grande visibilità mediatica e culturale. Dopo la fine del Project Blue Book nel 1969, l’Air Force aveva ufficialmente chiuso l’indagine sugli UFO. Tuttavia, le voci non si spensero. Anzi: la chiusura aumentò i sospetti di cover-up. Film come Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e E.T. (1982) riflettevano e alimentavano la crescente fascinazione popolare verso il tema. Questo terreno fertile permise alle agenzie militari di sfruttare la narrativa UFO come copertura per test segreti di armamenti e velivoli. Una bugia sull’atterraggio di un UFO, in fondo, distraeva più efficacemente che il silenzio.
Ed è il momento di entrare nel vivo dell’affaire Doty-Bennewitz.
Chi è Richard Doty

Richard Doty è un ex sergente e agente speciale dell’Air Force Office of Special Investigations (AFOSI), il servizio di controintelligence dell’Aeronautica militare statunitense. In servizio dalla fine degli anni ’70, il suo compito era simile a quello di un agente dell’FBI interno all’aeronautica: indagare su attività illecite nel contesto militare e proteggere i programmi classificati attraverso operazioni di controspionaggio. Doty, all’epoca dei fatti, era di stanza presso la base aerea di Kirtland, ad Albuquerque (New Mexico), un luogo circondato da siti legati a segreti militari e leggende UFO (dai laboratori nucleari di Los Alamos alle lande desertiche dove fu testata la prima bomba atomica). All’inizio degli anni ’80, Richard Doty sarebbe diventato una figura chiave in uno dei capitoli più controversi della storia ufologica. Egli stesso afferma che, durante il suo servizio, fu incaricato di falsificare documenti e diffondere informazioni false sul tema UFO a determinati civili. In altre parole, la sua missione consisteva nel creare una sorta di “miraggio” attorno al fenomeno UFO, alimentando ad arte voci e prove artefatte. L’Aeronautica ufficialmente non ha mai confermato né smentito il coinvolgimento dei suoi superiori in tali attività, lasciando un alone di mistero sulle reali responsabilità dietro questi depistaggi. Ciò che è certo è che Doty, con le sue azioni, ha guadagnato una fama sinistra tra gli ufologi, al punto da essere considerato uno dei “Mirage Men”, gli “uomini del miraggio” accusati di orchestrare campagne di disinformazione sugli UFO per conto del governo. Ma come è nata questa operazione? Per comprenderlo, dobbiamo seguire la vicenda di un uomo che diventerà la vittima ideale dell’inganno di Doty: Paul Bennewitz, un ingegnere e appaltatore militare convinto di aver scoperto qualcosa di straordinario nei cieli del New Mexico.
Luci nel cielo di Kirtland: l’ossessione di Paul Bennewitz
Nella tarda serata di un giorno del 1979, Paul Bennewitz osservava il cielo dalla sua proprietà al confine nord della base di Kirtland, Albuquerque. Bennewitz era il proprietario di una piccola azienda di elettronica con contratti militari, nonché un radioamatore appassionato. Quella notte, qualcosa di insolito catturò la sua attenzione: luci misteriose che si muovevano sopra l’area recintata della base, proprio nei pressi di un deposito di testate nucleari.

Il fenomeno continuò a manifestarsi sera dopo e Bennewitz non solo filmò e fotografò quelle luci, ma iniziò anche a captare segnali radio anomali. Nella sua mente prende forma una spiegazione straordinaria: quegli avvistamenti e impulsi elettromagnetici dovevano provenire da astronavi aliene operanti nei dintorni della base.
Invece di tenere per sé queste conclusioni, Bennewitz contattò immediatamente le autorità della base, convinto di fare cosa utile. Propose persino il suo aiuto per contrastare quella che credeva un’intrusione extraterrestre. Nell’autunno del 1980, l’ingegnere venne invitato a presentare le sue scoperte a ufficiali e scienziati dell’Air Force. Munito di fotografie sgranate di luci notturne e di stampe dei segnali ricevuti, Bennewitz espose le sue teorie su alieni che sorvegliavano Kirtland e comunicavano via radio. Chiese anche un finanziamento militare per approfondire le ricerche, tanto era certo della gravità della minaccia.
Per un osservatore esterno, l’intera vicenda poteva sembrare l’inizio di un classico caso UFO: un cittadino zelante che scova “qualcosa che non dovrebbe vedere” e lo segnala alle autorità. Ma dietro le quinte, i vertici della base erano preoccupati per tutt’altra ragione. Le “anomalie” avvistate da Bennewitz non provenivano da Marte, bensì da attività segrete terrestri. In particolare, le luci e segnali captati erano con ogni probabilità generati da test militari o programmi classificati – secondo alcune fonti un progetto top-secret della NSA (National Security Agency) stava avendo luogo nell’area, magari test di nuovi sistemi di sorveglianza o comunicazione. Paul Bennewitz, in buona fede, aveva messo il naso in una tecnologia riservata, e questo rappresentava un problema per la sicurezza.
L’Air Force si trovò dunque davanti a un dilemma: ignorare quell’uomo insistente rischiando che diffondesse informazioni su programmi classificati, oppure gestire la situazione in modo creativo. Fu scelta la seconda strada. Il caso Bennewitz finì sulla scrivania dell’agente Richard Doty. Invece di smentire apertamente le teorie di Bennewitz, Doty propose una strategia sorprendente: assecondare e amplificare le sue convinzioni, ma guidandole su una pista di totale fantasia. In altre parole, trasformare Bennewitz da testimone scomodo di segreti militari in propagatore inconsapevole di una falsa narrativa sugli UFO.
L’operazione psicologica: Doty alimenta il mito UFO
All’inizio degli anni ’80 prende così avvio un’operazione di disinformazione senza precedenti, una vera psyop (operazione psicologica) condotta su suolo americano. Richard Doty cominciò a instaurare un rapporto di fiducia con Paul Bennewitz, presentandosi come tramite affidabile verso l’Aeronautica. Approcciandolo come se prendesse sul serio le sue scoperte, l’agente in realtà iniziò a seminare ad arte ulteriori “prove” e racconti fasulli per confermare i timori di Bennewitz. Secondo documenti e testimonianze emerse in seguito, Doty consegnò a Bennewitz alcuni documenti anonimi falsificati che sembravano provenire dagli archivi militari.
In questi fascicoli, redatti con linguaggio burocratico, si alludeva al fatto che il governo fosse a conoscenza di una presenza extraterrestre sulla Terra e che le scoperte di Bennewitz riguardassero un programma segretissimo chiamato “Project Aquarius”, supervisionato da un oscuro gruppo denominato “MJ Twelve”.
Bennewitz, trovandosi improvvisamente tra le mani documenti apparentemente ufficiali che corroboravano le sue paure, ne rimase ulteriormente galvanizzato. Invece di placarlo, l’azione di Doty gettò benzina sul fuoco. L’ingegnere iniziò a credere di essere entrato in contatto con il cuore di un’enorme cospirazione UFO. Nel 1981, l’AFOSI fece avere a Bennewitz persino un computer (un modello avanzato per l’epoca) con uno speciale software di “decodifica”, così che potesse continuare a monitorare i presunti segnali alieni.
Quello che Bennewitz ignorava è che il software era manipolato: invece di rivelare verità, generava lunghe sequenze di testo senza senso reale, che però il nostro iniziò a interpretare come messaggi provenienti da intelligenze extraterrestri. Ogni input che forniva – rumore di fondo radio, disturbi – veniva trasformato in false comunicazioni aliene da un “oracolo” elettronico truccato.
L’illusione diventava sempre più elaborata. Doty e i suoi superiori sapevano che Paul Bennewitz era anche un pilota amatoriale e che aveva iniziato a fantasticare su una possibile base segreta di alieni nascosta tra i monti del New Mexico settentrionale, presso un luogo chiamato Dulce. Per dare sostanza a questo miraggio, agenti AFOSI installarono apparecchiature e luci speciali sull’Archuleta Mesa, l’altopiano isolato vicino a Dulce, simulando attività insolite visibili dal cielo. Volando con il suo piccolo aereo sopra quell’area, Bennewitz avvistò ciò che credeva essere la prova concreta: qualcosa di artificiale spuntava sulla mesa deserta, confermando i suoi sospetti di un’installazione segreta. In realtà, si tratta di una sora di Villaggio Potëmkin tecnologico – un allestimento scenico creato ad hoc dai militari. La Air Force stava costruendo una realtà alternativa su misura per lui. Ogni tassello aggiunto – i documenti top-secret, i messaggi decodificati, gli avvistamenti sulla mesa – era studiato per indirizzare la fervida immaginazione di Bennewitz verso la narrativa che l’AFOSI voleva fargli credere.
Col passare dei mesi, la situazione prese una piega inquietante. Paul Bennewitz ormai viveva immerso in questo mondo di invasori alieni e cospirazioni governative. Cominciò a sostenere che entità extraterrestri lo sorvegliassero costantemente; arrivò perfino a sospettare che sua moglie fosse controllata dagli alieni. Barricatosi nella sua casa, circondato da apparecchi radio e pile di documenti, scivolava sempre più in una paranoia profonda. Nell’agosto del 1988, dopo anni di stress mentale crescente, Bennewitz subì un grave crollo psicologico e fu ricoverato in una clinica psichiatrica.
Quello che era iniziato come entusiasmo investigativo si era trasformato in un incubo personale. Doty – e coloro che ai piani superiori orchestrararono la farsa – erano riusciti nel loro scopo: screditare totalmente Bennewitz. Le sue storie di base aliene, invasione imminente e messaggi cifrati diventarono sinonimo di delirio, e qualsiasi elemento di verità accidentale sulle attività segrete di Kirtland rimase sepolto sotto strati di fantasia.
“È stato un percorso verso la follia”, scriverà in seguito un analista riferendosi all’epilogo di Paul Bennewitz. La rovina mentale di quest’uomo non fu un effetto collaterale, ma il risultato diretto di una strategia deliberata. Secondo Richard Doty, lui agì sotto ordine dei suoi superiori: l’obiettivo era far credere a Bennewitz che fosse in atto una imminente invasione aliena, così da sviarlo dai veri progetti top-secret che aveva intercettato. In pratica, meglio un civile impazzito che insiste sugli UFO piuttosto che uno lucido che denuncia tecnologie militari riservate. Doty afferma di aver confezionato documenti falsi per Bennewitz e altri ufologi proprio a questo scopo e addirittura di essere entrato di nascosto nell’abitazione e nell’ufficio di Bennewitz per sostenere l’inganno.
Linda Moulton Howe e il dossier segreto: l’esca di MJ-12

Mentre Paul Bennewitz sprofondava nella sua ossessione indotta, Richard Doty non si accontentava di un solo bersaglio. Forte del “successo” con l’ingegnere, nei primi anni ’80 avrebbe avviato una seconda operazione rivolta a un profilo diverso: una giornalista investigativa nota per la sua serietà e tenacia, Linda Moulton Howe. Howe era già conosciuta per aver realizzato nel 1979 un documentario pluripremiato, A Strange Harvest, sul mistero delle mutilazioni di bestiame (fenomeno che alcuni collegavano agli UFO). Nel 1983, stava lavorando a un nuovo speciale televisivo sugli UFO per l’emittente HBO, decisa a indagare a fondo sugli “anelli mancanti” della vicenda extraterrestre sulla Terra.
Secondo il suo racconto, proprio durante queste ricerche Linda Howe fu contattata da Doty, che si offrì di aiutarla. Le prospettò l’accesso a informazioni riservate, inizialmente parlandole di un presunto atterraggio UFO avvenuto anni prima nei pressi della base di Ellsworth (South Dakota) – un caso allettante da approfondire. La giornalista, fiutando uno scoop, colse l’opportunità. Nel aprile 1983 volò alla base di Kirtland, dove Doty organizzò un incontro ufficiale.
Ad aspettarla trovò l’agente in uniforme, cordiale e professionale. Ma l’intervista che Howe immaginava non ebbe mai luogo. In quello che sembrava un ufficio sicuro all’interno della base, Doty fece un gesto inatteso: estrasse una cartellina contrassegnata come documento classificato. “Puoi dare un’occhiata”, le disse in sostanza, “ma non puoi portarlo via né prendere appunti”. Dentro la cartellina, Linda Howe trovò un memorandum intitolato: “Briefing Paper for the President of the United States of America on the Subject of Unidentified Aerial Vehicles” – un titolo formale che già da solo era esplosivo. Scorrendo le pagine, la Howe rimase a bocca aperta: il documento elencava numerosi casi di recuperi di UFO precipitati ad opera del governo USA, con dettagli sbalorditivi. In particolare, alcune frasi le si impressero nella memoria: vi si affermava che l’Homo sapiens sarebbe una specie creata dagli extraterrestri tramite manipolazione genetica di primati terrestri. In un colpo solo, quelle carte apparentemente segrete confermavano le ipotesi più incredibili: non solo gli UFO esistevano ed erano in mano ai militari, ma addirittura la nostra origine come specie avrebbe avuto una matrice aliena.
Linda Moulton Howe provò una comprensibile vertigine di fronte a tali rivelazioni. Se autentico, quel dossier rappresentava la prova definitiva di tutto ciò che gli ufologi sospettavano da decenni (e anche di più). Doty, però, fu irremovibile nel non lasciarle alcuna copia: la giornalista poté solo leggere velocemente. Le promise verbalmente che avrebbe cercato di ottenere l’autorizzazione per consegnarle alcuni filmati e documenti di supporto in seguito, magari da utilizzare nel suo speciale televisivo. Col senno di poi, sembra che questa fosse solo un’esca per tenerla buona. L’incontro terminò e Howe tornò a casa in attesa di quel materiale promesso, che però non sarebbe mai arrivato.
Con il passare delle settimane, la giornalista si rese conto di essere stata probabilmente manipolata. In Mirage Men, il documentario girato trent’anni dopo, Linda Howe riflette con disillusione su quell’episodio: “Dev’essere costata una notevole quantità di sforzi questa messinscena; avranno fatto riunioni su ‘come fermiamo una reporter ostinata e tenace che ha già dimostrato di non mollare un argomento scomodo?”. La domanda che continuava a ronzarle in testa – e attorno a cui ruota l’intera vicenda – era: perché? Perché un’agenzia governativa si era spinta fino a quel punto, confezionando un inganno così elaborato per una giornalista?
Dal punto di vista di Doty, l’operazione Howe era semplicemente il naturale proseguimento di quella condotta su Bennewitz. Cambiava il profilo del bersaglio, ma il fine restava lo stesso: diffondere disinformazione UFO. Invece di un tecnico appassionato, qui c’era una reporter con ampia audience; invece di segnali radio taroccati e strane luci, l’arma scelta fu un documento “ufficiale” scioccante. E anche Linda Howe, come Bennewitz, ne uscì professionalmente destabilizzata. HBO cancellò lo special UFO che la giornalista doveva realizzare (forse giudicando il tema troppo incerto e controverso dopo tanti intoppi). Howe, tuttavia, non abbandonò la ricerca. Anzi, quell’esperienza sembrò spingerla ancor di più sulle tracce del complotto alieno. Negli anni seguenti costruì una carriera come investigatrice indipendente su UFO e presunti insabbiamenti governativi. A differenza di Bennewitz, non perse la ragione, ma molti colleghi notarono un cambiamento: da giornalista empirica qual era, Howe abbracciò sempre più teorie estreme – rettiliani, antiche civiltà aliene, cospirazioni onnipresenti – come se quel briefing letto nel 1983 avesse riscritto per sempre la sua visione del mondo.
Il mistero dei documenti MJ-12
Uno dei frutti più duraturi dell’operazione di disinformazione orchestrata da Doty fu l’emergere di quelli che sono passati alla storia come i Documenti Majestic-12 (MJ-12). Si tratta di una serie di carte dattiloscritte apparse anonimamente nel 1984, che avrebbero dovuto provenire dai più alti livelli del governo USA. In essi si descriveva un gruppo segretissimo di dodici funzionari, chiamato appunto Majestic 12, creato nel 1947 per gestire il recupero di relitti extraterrestri (come quello di Roswell) e mantenere il segreto sugli UFO. I documenti MJ-12 elencavano anche nomi di generali e scienziati realmente esistiti, conferendo un’aura di autenticità al complotto. Ma come furono divulgati?
Nel panorama ufologico, molti sospettarono subito che dietro MJ-12 potesse esserci lo zampino della stessa rete di disinformazione del caso Bennewitz/Howe. Richard Doty ha sempre negato di aver avuto un ruolo diretto nella creazione o diffusione dei MJ-12. Tuttavia, il documentario Mirage Men (2013) – diretto da John Lundberg e basato sul lavoro di Mark Pilkington- rivela una testimonianza interessante: un altro ex agente AFOSI, Walter Bosley, definì i documenti MJ-12 “il dispositivo di gestione della percezione perfetto”, suggerendo che fossero uno strumento ideale per manipolare l’opinione pubblica sul tema UFO. In pratica, i MJ-12 sembravano disegnati su misura per far sognare i complottisti – e distoglierli forse da altre piste più concrete.
Va detto che già verso la fine degli anni ’80 alcuni ricercatori smascherarono incongruenze nei documenti Majestic-12, indicandoli come falsi (ad esempio errori di formato nelle date e nei gradi militari, o firme fotocopiate da documenti pubblici). Oggi la maggior parte degli storici e degli studiosi considera i MJ-12 un’abile falsificazione. Ma nei decenni passati essi alimentarono enormemente la mitologia UFO. Personaggi come William Moore – un ufologo che collaborò con Doty in quel periodo – diffusero i contenuti di MJ-12 nella comunità UFO, ritenendoli genuini. Moore stesso, però, ebbe un ripensamento clamoroso: nel luglio 1989, durante una conferenza del MUFON, confessò pubblicamente di aver partecipato a una “campagna di disinformazione” orchestrata da ambienti militari, ammettendo di aver passato volutamente dati falsi ad altri ricercatori. Quella dichiarazione scosse la comunità ufologica. Moore sostanzialmente confessava di essere stato un “agente doppio” al soldo dell’AFOSI, lavorando con Doty per alimentare miti alieni e al contempo screditare i colleghi più ingenui. A seguito di ciò, Moore si ritirò dall’ufologia attiva, gettando ulteriore ombra sulla genuinità dei documenti MJ-12 e affini.
Eppure, nonostante queste rivelazioni, l’effetto dei MJ-12 e delle storie instillate da Doty non svanì. Al contrario, divenne la base di un’intera sottocultura cospirativa sugli UFO negli anni ’80 e ’90. Uno storico ha osservato che mentre negli anni ’50–’60 si parlava di governi che coprivano amichevoli “fratelli spaziali”, negli anni ’80 prevalse quella che fu definito il “dark side dell’ufologia” – ovvero l’idea di un patto segreto tra un governo ombra e sinistre forze aliene, con rapimenti, mutilazioni e controllo occulto. I documenti fasulli e le dicerie fatte circolare da Doty ispirarono molta della mitologia UFO post-1980: le storie di basi sotterranee, accordi con i “Grigi”, autopsie di alieni, e così via, trovarono terreno fertile nel pubblico. Anche quando Moore venne screditato, il nocciolo delle teorie cospirative non fu abbandonato dagli appassionati. Era come se il virus fosse ormai in circolo: la propaganda creata per inganno aveva preso vita propria.
“Mirage Men”: disinformazione pianificata sul fenomeno UFO

Quanto orchestrato da Richard Doty non fu un caso isolato, bensì l’esempio più celebre di una strategia più ampia adottata da alcune agenzie governative: l’uso del fenomeno UFO come strumento di depistaggio e manipolazione. Nel gergo comune degli ufologi si parla appunto di “Mirage Men”, termine popolarizzato dal ricercatore Mark Pilkington col suo libro Mirage Men (2010) e l’omonimo documentario (2013). Questi “uomini del miraggio” sarebbero agenti o funzionari che, sin dagli anni della Guerra Fredda, alimentano ad arte miti UFO per coprire programmi segreti o per studiare le reazioni psicologiche della popolazione.
Già negli anni ’50 esistono documenti declassificati che suggeriscono come i militari USA considerassero utile sfruttare l’ossessione per i dischi volanti. L’aura di mistero dei “foo fighters” e dei “flying saucers” poteva servire, ad esempio, a depistare l’attenzione da test di aerei spia o armi avanzate. Negli anni ’60, in piena corsa agli armamenti, la CIA condusse perfino esperimenti sul controllo mentale e sulla creazione di false credenze, testando quanto fosse facile inculcare percezioni alterate della realtà (si pensi al programma MK-Ultra). In quel clima, l’idea di usare gli UFO come “strumento mimetico” divenne concreta: far credere a qualcuno di aver visto un’astronave poteva essere più conveniente che rivelargli l’esistenza di un nuovo velivolo sperimentale.
Il caso Doty rientra esattamente in questa logica. Anziché mettere semplicemente a tacere Bennewitz, l’Air Force scelse di fabbricare uno scenario fittizio così coinvolgente (un’invasione aliena imminente, appunto) da intrappolare il testimone in una gabbia mentale. Questa tattica, per quanto eticamente discutibile, si rivelò efficace nel breve periodo: Bennewitz fu neutralizzato come fonte affidabile. Allo stesso modo, fornire a Linda Howe e ad altri ricercatori informazioni incredibili ma false serviva a “avvelenare il pozzo” dell’ufologia con dati non verificabili, confondendo il confine tra vero e falso.
In Mirage Men, Richard Doty – ormai in pensione – racconta con sorprendente candore le sue imprese. Descrive come inventò folklore sugli UFO per proteggere asset militari e, curiosamente, sostiene anche di aver talvolta inventato storie su presunte tecnologie segrete per coprire la presenza di veri UFO all’orizzonte.
In pratica, arrivò a giocare su due fronti: usare gli UFO per coprire armi segrete, e usare storie di armi segrete per sviare l’attenzione da possibili fenomeni aerei anomali autentici (che lui sostiene esistano e siano chiamati “Cardinals” in codice interno). Dopo aver lasciato l’Aeronautica, Doty paradossalmente si reinventò come informatore – o sedicente tale – rivelando (o continuando a costruire) dettagli di programmi UFO top-secret che lui stesso avrebbe contribuito a insabbiare. Raccontò di un presunto filmato segreto su dischi volanti precipitati, di un magazzino pieno di rottami di UFO custodito nella base di Bolling (Washington D.C.), e perfino di ipotetici piloti alieni catturati provenienti dal sistema di Zeta Reticuli.
Queste affermazioni – non suffragate da prove pubbliche – hanno diviso l’opinione: Doty sta finalmente dicendo qualche verità, o sta semplicemente continuando la sua opera di inganno seminando nuove fantasie?
Ciò che rimane indubbio è che l’uso pianificato della disinformazione sul fenomeno UFO è documentato e reale. Doty stesso ha confermato che un’unità dell’Air Force, la 7602nd Air Intelligence Group, conduceva operazioni psicologiche su civili che si imbattevano in progetti aerospaziali segreti, arrivando persino a inscenare finti incontri ravvicinati o rapimenti alieni per spaventarli e screditarli. Siamo dunque oltre la leggenda: l’elemento “cospirativo” non è solo negli UFO, ma nell’uso degli UFO fatto dai servizi segreti. Questo aggiunge un livello di complessità affascinante (e inquietante) alla storia: chi indaga sui misteri del cielo potrebbe trovarsi di fronte non solo a segreti governativi, ma a veri e propri specchi per le allodole deliberatamente posizionati sul suo cammino.
Teorie controverse nate dall’inganno
Le macchinazioni di Doty e colleghi hanno dato linfa a teorie del complotto tra le più controverse in ambito ufologico. Molte di queste idee circolavano già come ipotesi fringe, ma fu dopo gli eventi di Albuquerque che conobbero una diffusione massiccia. È importante sottolineare che quanto segue, sebbene presentato come reale ai vari Bennewitz, Howe ecc., rientra nel campo dello speculativo. Elenchiamo le principali teorie emerse da questo periodo, evidenziando la loro dubbia origine:
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Accordi segreti con extraterrestri: Una delle narrazioni instillate da Doty riguardava presunti trattati tra il governo USA e una razza aliena. A Paul Bennewitz, ad esempio, vennero raccontate storie di un complotto UFO e di patti governativi con gli ET in cui addirittura il governo avrebbe permesso ad alieni di rapire bestiame (e forse persone) in cambio di tecnologia. Queste voci collimano con quanto apparso nei documenti fasulli (MJ-12 parlava di commissioni speciali post-Roswell) e con affermazioni successive di personaggi come John Lear e William “Bill” Cooper, noti complottisti che negli anni ’80 diffusero la tesi di un patto scellerato: un presidente USA (spesso si cita Eisenhower) avrebbe siglato un accordo con entità aliene, ottenendo conoscenze scientifiche in cambio di segretezza e “libertà di azione” per gli extraterrestri. Tali affermazioni non sono suffragate da alcun documento autentico, ma divennero un caposaldo della letteratura cospirativa ufologica.
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Basi sotterranee e sperimentazioni segrete: L’idea di basi aliene nel sottosuolo americano deve molto direttamente al caso Bennewitz. Fu infatti Paul, alimentato dalla disinformazione, a convincersi per primo che sotto l’Archuleta Mesa, a Dulce (New Mexico), esistesse un’enorme struttura laboratorio gestita congiuntamente da alieni e forze oscure del governo. La leggenda di Dulce Base si diffuse rapidamente: già nel 1983 ne parlavano riviste specializzate, e a metà anni ’80 personaggi come John Lear asserivano di aver “prove indipendenti” dell’esistenza della base. Secondo il mito, a Dulce si condurrebbero esperimenti terribili su creature ibride umane-aliene e armi avanzate, e ci sarebbe stato persino uno scontro a fuoco tra militari americani e alieni ribelli nei tunnel (la cosiddetta “guerra di Dulce”). Nessuna evidenza concreta è mai emersa: si tratta di racconti nati da fonti anonime o palesi falsi. La loro somiglianza con vecchie storie pulp – come il “Shaver Mystery” degli anni ’40, che parlava di demoni sotterranei – è stata sottolineata dagli storici. Eppure, ancora oggi Dulce attira curiosi e ha persino ispirato conferenze locali sul tema. In breve, un’invenzione creata per ingannare un uomo si è radicata nell’immaginario collettivo.
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Documenti Top-Secret sugli UFO: L’episodio di Linda Moulton Howe e i famigerati fascicoli mostrati a lei e ad altri investigatori (inclusi i MJ-12) hanno originato una categoria di documenti UFO “classificati” la cui autenticità è fortemente dibattuta. Il cosiddetto “Briefing per il Presidente sugli UFO” del 1983, ad esempio, non è mai stato riconosciuto ufficialmente e probabilmente fu redatto ad hoc dall’intelligence. I documenti Majestic-12, come visto, sono considerati falsi dalla comunità accademica e dagli archivi governativi (nessun originale è mai stato trovato nei National Archives, nonostante ricerche FOIA). Tuttavia, negli anni ’80 questi file fotocopiati fecero scuola: ne emersero altri dal nulla, con titoli tipo “Progetto Aquarius”, “Blue Team Report”, “Yellow Book”, tutti presumibilmente rapporti segreti su UFO e alieni. Quasi tutti, analizzati, mostrarono segni di contraffazione. Richard Doty in seguito ha ammesso di aver diffuso documenti artefatti a ricercatori UFO negli anni ’80 come parte delle sue attività. Questo chiarisce molto sull’origine di tali “carte top-secret”: non fuoriuscite dalle casseforti del Pentagono, ma prodotte nelle retrovie di qualche ufficio di controspionaggio. Purtroppo, alcuni ufologi negli anni abboccarono, integrando questi pezzi di carta nelle loro tesi come fossero vangelo. Solo la paziente opera di smontaggio da parte di investigatori più scettici (e a volte degli stessi autori pentiti, come Moore) ha permesso di classificare i vari documenti segreti degli anni ’80 come hoax bufale o esche deliberate.
In sintesi, le teorie sopra elencate – dagli accordi con ET alle basi sotterranee – condividono un’origine comune: sono figlie di un mix di paranoia genuina e di abile disinformazione. Pur essendo prive di conferme fattuali, esse hanno attecchito nell’immaginario popolare e ancora oggi vengono riproposte in libri, trasmissioni TV e forum online, spesso senza cognizione del contesto manipolatorio da cui nacquero.
Prove, rivelazioni e smentite
Col trascorrere degli anni, la saga di Richard Doty e delle sue “vittime” divenne essa stessa oggetto di indagine. Giornalisti investigativi, autori e anche ex agenti governativi iniziarono a far luce su ciò che davvero era accaduto in quel turbolento periodo. Già abbiamo menzionato la confessione di Bill Moore nel 1989, che di fatto ufficializzò l’esistenza di una campagna di disinformazione in ambito UFO. Nello stesso anno, Moore e l’ufologo britannico Jenny Randles diffusero un memorandum interno dell’AFOSI (ottenuto via Freedom of Information Act) che documentava le interazioni tra Doty e Bennewitz, confermando molti dettagli del depistaggio noto poi come “Project Beta” (titolo di un libro scritto nel 2005 da Greg Bishop sulla vicenda. Il puzzle era in via di ricostruzione.
L’opinione pubblica più generale venne a conoscenza di questa storia gradualmente. Negli anni ’90, i circoli ufologici erano divisi: da un lato chi vedeva Doty come un vero e proprio “agente del Male” – un manipolatore che aveva rovinato delle vite e screditato l’ufologia –; dall’altro chi ancora credeva che, tra le sue bugie, potessero celarsi rivelazioni autentiche. Doty in persona continuò a frequentare l’ambiente UFO, partecipando a convegni, rilasciando interviste e apparendo in programmi TV anche recenti (ad esempio nella serie UFO prodotta da J.J. Abrams nel 2021). Il fatto che non sia mai stato formalmente incriminato per le sue azioni passate e che anzi abbia fatto carriera (dopo l’Air Force lavorò come poliziotto nel New Mexico) lascia ancora domande aperte sulla complicità o meno delle istituzioni nelle sue attività.
Un capitolo fondamentale per portare questa vicenda all’attenzione di un pubblico più vasto fu il già citato documentario “Mirage Men” (2013), diretto da John Lundberg e basato sul lavoro di Mark Pilkington. Nel film, Richard Doty compare in prima persona e descrive il proprio ruolo in quello che viene dipinto come un autentico “gioco di specchi frantumato su un pavimento di sabbie mobili”. Questa immagine – usata dalla stessa Linda Moulton Howe per descrivere la storia – rende bene l’idea della difficoltà, per chi vi è invischiato, di discernere la verità. Il documentario ricostruisce l’inganno Bennewitz, il caso Howe, l’affaire MJ-12 e arriva fino ai fenomeni successivi come il “Project Serpo”, una bufala ufologica circolata sul web a metà anni 2000 (si parlava di uno scambio di diplomazia segreta tra umani e alieni, e anche lì comparivano misteriosi “insider” di nome Falcon e Condor – pseudonimi che alcuni riconducono proprio a Doty e ad un suo collega). Mirage Men ebbe il merito di mostrare allo spettatore medio come dietro ad alcuni miti UFO potessero celarsi non extraterrestri, ma funzionari in carne e ossa intenti a manovrare la credulità altrui.
L’impatto culturale della saga Doty è notevole. Le sue storie hanno ispirato indirettamente film e serie TV. X-Files, la popolare serie degli anni ’90, con la sua trama di governi collusi con alieni malvagi e vasti insabbiamenti, deve molto all’“ecosistema” di paranoia creato negli anni ’80. Non a caso, lo stesso X-Files citava elementi come MJ-12 e Dulce Base in alcuni episodi. Anche film come Men in Black e Independence Day (entrambi del 1996) giocarono con l’idea del governo che conosce ben più di quanto dica sugli alieni – un’idea ormai divenuta mainstream, ma che affonda le radici nelle vicende oscure che abbiamo raccontato.
Dal punto di vista umano, però, restano le vicende personali dei protagonisti reali. Paul Bennewitz non si riprese mai del tutto. Morì nel 2003, anni dopo il crollo nervoso, e ancora convinto di aver toccato una terribile verità sugli alieni. La sua famiglia ha saputo solo a posteriori del ruolo attivo che Doty ebbe nel disorientarlo, e c’è chi si chiede se un giorno il governo vorrà scusarsi per quanto accaduto. Linda Moulton Howe, ancora oggi attiva come conferenziera e scrittrice, continua a sostenere la presenza di intelligenze extraterrestri in mezzo a noi (arrivando a enumerarne decine di specie differenti) e un cover-up globale in atto. Ai suoi detrattori appare come una persona caduta in una spirale di credulità – la giornalista professionale e stimata trasformatasi in una predicatrice di complotti esotici– mentre ai suoi sostenitori appare come una paladina alla ricerca della verità negata. Richard Doty, infine, rimane una figura enigmatica. Negli ultimi anni ha partecipato a podcast e convegni cercando di ricostruire una propria versione “ripulita” dei fatti, a tratti esprimendo un filo di rimorso per Bennewitz, a tratti lanciando nuove rivelazioni sui whistleblower UFO contemporanei. In un’intervista del 2025, Doty discute persino se sarebbe opportuno pagare riparazioni alla famiglia Bennewitz e alla stessa Linda Howe per i danni arrecati, un’ammissione implicita del torto subito da queste persone, anche se tardiva.
Conclusioni
La storia di Richard Doty e dei personaggi correlati, resta un monito potente. In un’epoca come la nostra, dove informazioni e disinformazioni viaggiano in rete alla velocità della luce, questa vicenda degli anni ’80 ci ricorda quanto sia sottile il confine tra realtà e finzione. È una vicenda che affascina e inquieta: da un lato abbiamo un thriller degno di Hollywood – con spie, UFO, documenti segreti, follia e mistero –; dall’altro abbiamo vite reali e la fiducia del pubblico deliberatamente manipolata. Come in un gioco di specchi infranti, ogni riflesso conteneva un frammento di verità e molti di menzogna. Sta a noi, osservatori a decenni di distanza, ricomporre i pezzi e trarne insegnamento, ricordando che a volte i “Men in Black” non vengono dallo spazio, ma dai nostri stessi apparati di potere.
Letture consigliate per approfondire:
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- Mirage Men: A Journey into Disinformation, Paranoia and UFOs. Mirage Men: A Journey into Disinformation, Paranoia and UFOs (2010), Mark Pilkington
- Imminent. I segreti del pentagono sulla caccia agli ufo – Luis Elizondo
- Ufo revision. Le vicende ufologiche minori nel panorama storico contemporaneo – Carlo Pirola
- UFO e extraterrestri – Roberto Pinotti
- Ufo Italia. Da Mussolini al Pentagono – Roberto Pinotti
- UFO. Fenomeno o mito? – Edoardo Russo
Fonti e risorse dell’articolo:
- Mirage Men: A Journey into Disinformation, Paranoia and UFOs. Mirage Men: A Journey into Disinformation, Paranoia and UFOs (2010), Mark Pilkington
- Documentario Mirage Men (2013), John Lundberg
- AFOSI Kirtland UFO Memo – 2 settembre 1980;
- https://thedebrief.org/richard-doty-disinformation-paul-bennewitz-and-uap-whistleblower-fallout/
- https://www.huffpost.com/entry/exair-force-law-enforceme_b_5312650
- https://www.e-flux.com/journal/147/623330/society-of-the-psyop-part-1-ufos-and-the-future-of-media/
Classe 1988. Laureata in Studi Orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, Search Analyst di professione. Amante di storia, archeoastronomia, ufologia e paranormale. Consumatrice patologica di podcast. Nel 2023 ho fondato Lux Aliena, un progetto nato dal desiderio di condividere il viaggio alla scoperta dei misteri irrisolti del nostro pianeta e dell’universo.